L’oblio oncologico: fra biopolitica e privacy

La legge sull’oblio oncologico n. 193/2023, entrata in vigore il 2 gennaio del corrente anno, permette all’Italia di essere nel novero dei primi (e non molti) Paesi che, nel mondo ma anche nell’UE, consentono a chi ha subito ma è riuscito a superare la patologia oncologica da cui è stato colpito di poter condurre una vita senza quegli ostacoli che, nei rapporti economici come di lavoro ma anche nel settore delle adozioni cui si rivolge la norma, sono sino ad ora esistiti.

Sotto un profilo generale la legge, sulla base della ricerca clinica e dell’impegno profuso da tanti medici e operatori del settore, lancia un messaggio importante ovvero che da questa malattia si può guarire, con ciò contribuendo a depotenziare lo stigma che ha spesso connotato (impropriamente) chi ne è vittima e a tutelare i propri dati personali.

La norma sull’oblio oncologico consente di fare una riflessione più generale: grazie soprattutto a Michel Foucault – filosofo, sociologo e storico della filosofia e della scienza – il termine biopolitica è entrato nella terminologia dell’era contemporanea. Con tale termine si intende – come propone la Treccani – la “considerazione delle condizioni di vita degli esseri umani, in termini di salute, alimentazione, variazioni demografiche, rischi ambientali ecc., intesa come questione centrale della politica”.

È una concettualizzazione che dovrebbe far parte del lessico non solo degli operatori sanitari di qualsiasi livello, persone fisiche e organizzazioni di ricerca, cura e produzione, ma anche degli operatori del settore delle scienze umane, a partire dai giuristi per arrivare ai sociologi, e delle tecnologie IT: quindi anche di chi si occupa di privacy come qui si cercherà di chiarire.

La crescente attenzione al corpo, dalle forme di cura alle ricerche sull’integrazione uomo–macchina (i chip cerebrali di Neuralink ce lo ricordano plasticamente), alla sfida ai limiti della vita umana finanziata dai nuovi multimiliardari delle Big Tech non sfugge quindi alla biopolitica e ai nuovi mercati sviluppatisi. Si pensi poi ai volumi di fatturato che girano intorno agli sport professionistici, che del corpo degli atleti fanno un’icona come, su un altro versante, alle patologie indotte anche (ma non solo) dalla società dell’apparenza (anoressia, bulimia, disagio mentale). A Peter Thiel co-fondatore di Paypal viene ascritta l’affermazione “Probabilmente la maggior forma di disuguaglianza umana è tra chi è vivo e chi no lo è” e la cura dei corpi sappiamo che non segue le stesse dinamiche per i vari ceti, motivo in più tutelare e apprezzare il nostro SSN.

E non sfuggono alla biopolitica materie come la biometria e il diritto all’oblio. Materie che, in parallelo, mettono sempre in campo il trattamento dei dati personali.

Qui ci soffermiamo sulla questione oncologica, influenzata dalla biopolitica principalmente certo per le risorse impegnate nel sistema sanitario nazionale e per quelle impegnabili privatamente dai più abbienti. Ma anche per il diritto all’oblio: una forma di biopolitica a valore aggiunto per molte persone.

La legge sull’oblio oncologico, per diventare effettiva, necessita di alcune disposizioni attuative, da parte ministeriale, in primis un decreto che il Ministero della Salute avrebbe dovuto emanare entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, sulle “modalità e le forme, senza oneri per l’assistito, per la certificazione della sussistenza dei requisiti necessari ai fini dell’applicazione” della legge.

Inoltre, per aspetti applicativi la legge prevede disposizioni – da emanare entro un periodo che varia da tre a sei mesi dalla vigenza della norma – da parte di alcuni Organismi preposti ai succitati ambiti cui si rivolge la legge.

È di tutta evidenza che in assenza delle regole afferenti alla certificazione di superamento della malattia, la fruibilità del nuovo diritto rischia di essere vanificata, a prescindere che le altre amministrazioni di settore emanino o meno i loro provvedimenti settoriali. Ciò in quanto la dichiarazione che una persona affetta da patologia oncologica il cui trattamento attivo si sia concluso, senza episodi di recidiva, da più di dieci anni deve essere supportata da informazioni sullo stato di salute certe e documentate.

Nella prospettiva della completa e armonica entrata in vigore del Fascicolo sanitario elettronico 2.0 di cui al Decreto del Ministero della Salute del 7.9.2023, alimentabile ai sensi dell’art. 12 da strutture pubbliche e private (autorizzate) nonché dagli esercenti le professioni sanitarie, anche convenzionati con il SSN, quando operano in autonomia, che aiuterebbe a tracciare e documentare lo stato di cura (ovviamente l’interessato non dovrà esercitare al riguardo il diritto di oscuramento), da oggi una delle vie potrebbe essere che il sanitario, pubblico o privato che sia, che abbia seguito il paziente ne certifichi lo stato di superamento della patologia; ipotesi alternative, come quella che debba provvedervi solo una struttura pubblica, potrebbe implicare una sorta di accanimento sull’(ex) malato oncologico per certificarne l’uscita dal tunnel nonché, andrebbe pure considerato, un impatto sulla sua privacy anche se da parte di operatori tenuti al segreto professionale.

Per il passato la questione appare più farraginosa da sistematizzare; una soluzione potrebbe essere il riferimento al medico che in passato aveva seguito il paziente, via peraltro che non sempre potrebbe essere percorribile per le vicende che possono negli anni interessare ad esempio che tali medici possano non essere ancora in servizio attivo; come altra soluzione ci potrebbe essere il dossier degli accertamenti a disposizione del paziente.

Meno vincolante per la fruizione dell’oblio, invece, è il rispetto dei termini per le disposizioni applicative a cura delle Amministrazioni pubbliche di settore atteso che la legge in parola specifica che, nella more della loro emanazione, comunque le controparti dei settori di applicazione devono conformarsi ai principi previsti dalla legge.

Ciò è una apprezzabile previsione che andrebbe inclusa da ogni legge che prevede disposizioni applicative successive. Per l’intanto, comunque, in assenza di una autoregolazione delle organizzazioni (almeno quelle private) interessate l’unica via per ottenere l’oblio potrebbe essere quella di tentare di ricorrere individualmente al Garante della privacy o al Tribunale per una decisione in supplenza del Decreto emanando sulla certificazione di guarigione.

Va precisato che il Ministero della Salute ha provveduto lo scorso 22 marzo ad emanare, nei termini indicati dalla legge, il pure previsto (e aggiornabile nel tempo) Decreto che individua le forme oncologiche per le quali possono valere tempi inferiori ai 10 anni standard per godere dell’oblio: fra quelle individuate, per tre tipologie – fra cui una delle più diffuse, quella che colpisce al seno ma limitatamente alle stadiazioni I e II – tale periodo viene ridotto ad un anno.

Vista la rilevanza sociale e di civiltà della norma, c’è da auspicare che quanto prima venga emanato il citato Decreto sulla certificazione necessaria per documentare il superamento della cd lunga malattia unitamente alle diverse disposizioni attuative previste. Come già osservato in altra occasione, l’oblio oncologico ha una valenza più ampia del diritto all’oblio previsto dall’art. 17 del GDPR, trattandosi di un diritto assoluto, senza limitazioni.

Le organizzazioni che dovranno rispettarlo hanno tutto il tempo per prepararsi e, almeno quelle private, applicarlo se riterranno. Le funzioni interne che supportano il titolare del trattamento, i privacy manager e i Data Protection Officer dovranno impegnarsi affinché il rispetto del diritto all’oblio sia sempre osservato e accompagnato anche dal rispetto della previsione di cancellazione, quando ricorrano le condizioni della legge, delle informazioni di cui si fosse già in possesso afferenti la patologia in esame, nel caso ne sia certificato il superamento.

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