Sfida al revenge porn dal Garante per la Privacy

Registrare i momenti intimi con il proprio partner può essere un gioco pericoloso. Lo dicono i dati sul Revenge porn, cosiddetto “pornovendetta”. Un fenomeno preoccupante in forte espansione che si sostanzia nella diffusione illecita, non consensuale, attraverso i social media, di foto e video sessualmente o pornograficamente rilevanti, scattati nell’intimità di una esperienza relazionale e destinati a rimanere privati.

revenge porn, il garante lancia la sfida

La pratica, attivata primariamente da istanze di vendetta, si estrinseca solitamente da parte di un eventuale ex partner, producendo una violazione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti e di lesioni gravi, talvolta irrimediabili e sempre irrisarcibili, della propria dignità e reputazione, con inevitabili ricadute sulla vita professionale e di relazione.

L’obiettivo è evidente: sottoporre la vittima ad una gogna mediatica che può condurla, a fronte di una sofferenza psichica, in alcuni casi ingestibile, anche a scelte estreme.Tanto che ci si interroga se non sia possibile rinvenire talora anche l’ulteriore fattispecie del reato di istigazione al suicidio.

La condotta criminale viene per lo più agita contro la donna e, pertanto, può connotarsi a pieno titolo come una violenza non fisica ma psicologica di “genere”.

Il collasso psichico che può derivarne è di assoluta serietà, indotto dalla esperienza emotiva totalizzante della vergogna, di una umiliazione visibile a tutti, di una ferita personale percepita come irreparabile.

Al sentimento della vergogna si associa quello della colpa: un vissuto paralizzante di autocolpevolizzazione e un’impropria assunzione su se stessa di responsabilità non proprie, ma di altri.

Ginevra Cerrina Feroni, vice Presidente del Garante per la protezione dei dati personali

(Nella foto: Ginevra Cerrina Feroni, vice Presidente del Garante per la protezione dei dati personali)

Passaggio fondamentale per fronteggiare il fenomeno è stata l’approvazione della legge 29 luglio 2019, n. 69, meglio conosciuta come “Codice Rosso”, con la quale il Revenge porn è diventato in Italia reato punibile con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5mila a euro 15mila. Resta però, purtroppo, ancora abbastanza nebuloso il panorama degli specifici strumenti di tutela a favore della vittima.

Ciò specialmente considerando che gli autori di tale reato, celati sul web da falsate identità, restano sovente impuniti e che le procedure ufficiali di tutela delle vittime sono rese spesso inefficaci dai tempi lenti, ultradilatati della giustizia e, di converso, dalla ultravelocità dei tempi di trasmissione e condivisione delle immagini. Senza contare l’ampiezza dei possibili canali di diffusione tale da rendere assai complessa l’attività di contenimento della propagazione.

La necessità di intervenire tempestivamente avverso una delle forme più intollerabili di violenza sulle donne e più, in generale, contro la pornografia non consensuale che impattano in modo diretto sul concetto multidimensionale di privacy, ha convinto il Garante per la protezione dei dati personali a mettere a disposizione una procedura di segnalazione. Che prenderà avvio, simbolicamente, nella giornata dell’8 marzo. Si tratta di una forma di tutela emergenziale a carattere preventivo.

Le persone maggiorenni che temono che le loro foto o i loro video intimi possano essere diffusi senza il loro consenso su Facebook o Instagram, potranno segnalare al Garante per la Privacy tale rischio e ottenere che le immagini vengano bloccate. La procedura è semplice e strettamente confidenziale. Sulla pagina www.gpdp.it/temi/revengeporn, le potenziali vittime di pornografia non consensuale troveranno un form da potere compilare per fornire all’Autorità le informazioni utili a valutare il caso. Il Garante, raccolti gli elementi necessari, indicherà alla persona interessata il link per caricare direttamente le immagini di cui essa teme la diffusione proprio al fine di interdirne la diffusione.

Una volta caricate, le immagini verranno cifrate da Facebook tramite un codice, cosiddetto “hash”, in modo da diventare irriconoscibili prima di essere distrutte e, attraverso una tecnologia di comparazione, bloccate da possibili tentativi di una loro pubblicazione sulle due piattaforme. Lo strumento potrà certamente offrire alle donne un ulteriore ausilio per la tutela dei propri inviolabili diritti rispetto ad un potenziale, gravissimo, danno che potrebbero subire.

Resta, tuttavia, imprescindibile la prevenzione. Ovvero che si affermi, specie tra le più giovani generazioni, una vera cultura della privacy intesa come consapevolezza di quanto siano preziosi i nostri dati personali, specie quelli sensibilissimi come la vita sessuale.

di Ginevra Cerrina Feroni, vice Presidente del Garante per la protezione dei dati personali (Fonte: Il Messaggero)