Tra privacy e propaganda: cosa c’è che non va in WhatsApp

Un gruppo su WhatsApp può esistere senza che nessuno sia a conoscenza della sua esistenza, di chi siano i suoi membri o di ciò che viene condiviso. Per cominciare a comprendere meglio il ruolo che ha assunto durante la pandemia il servizio di messaggistica più popolare del mondo si deve partire proprio dalla percezione di segretezza che hanno i suoi utenti. A differenza di Twitter, Facebook e delle altre piattaforma di social media, WhatsApp è progettato per proteggere la privacy. E non è una differenza da poco.

Sempre perplessità su rispetto della privacy da parte di WhatsApp

I gruppi nascono per gli scopi più disparati – una festa, l’organizzazione di una vacanza, un interesse condiviso – ma poi possono assumere una vita propria. Là dentro siamo tra simili, al sicuro, possiamo dire quello che vogliamo perché il gruppo lo accetta e ci capisce. Lo sperimentano quotidianamente tutti coloro che si confessano nel gruppo di calcetto, che si sfogano nella chat della classe del figlio, che si trovano per sparlare del loro capo ufficio. Quindi i gruppi nascono per gli scopi più disparati ma poi possono assumere una vita propria.

Il social intimo e sicuro  – Durante la pandemia WhatsApp è diventato ancora di più una secure zone, i gruppi chiusi investiti dall’emergenza Covid-19 sono diventati un luogo di condivisione esclusivo e accessibile, dove potere confessare paure e preoccupazioni. Siamo dalle parti – con le dovute cautele – dei gruppi di auto-aiuto, sperimentazioni asincrone di versioni amicali da Telefono amico. La condivisione quotidiana di pensieri, scherzi, foto o pensieri estemporanei su WhatsApp ha reso i gruppi chiusi qualcosa di geneticamente modificato rispetto agli altri social. Pensiamo solo alle logiche espressive: i “leoni da tastiera” che si esibiscono su Facebook adottano messaggi teatrali, i polemisti su Twitter hanno elaborato strategia di chiosa brillanti per generare discussioni e distinguersi. Sui social la parola “no” spesso vuole dire “io”. Su WhatsApp, per esempio, non senti il bisogno di lavorare sul tuo ego perché appartieni a un gruppo che ti protegge e ti rende sicuro.
Individuo versus collettivo

Questo senso di sicurezza e di appartenenza influenza fortemente toni e contenuti dei messaggi che vengono veicolati dai gruppi verso l’esterno. La dimensione pubblica di quello che scriviamo, la responsabilità delle parole che usiamo e dei registri che adottiamo viene in qualche mondo sacrificata da un effetto “cuccia” che ci rende compresi, invincibili e incuranti delle conseguenze di quello che diciamo. La segretezza che distingue WhatsApp da Twitter e Youtube è forse il motore che ha alimentato gruppi creati per diffondere teorie cospirazioniste, fake news e messaggi di propaganda.

(Nella foto: Luca Tremolada, Coordinatore di Nova24Tech, si occupa di data journalism su Info Data Blog presso il Sole 24 Ore)

(Nella foto: Luca Tremolada, Coordinatore di Nova24Tech, si occupa di data journalism su Info Data Blog presso il Sole 24 Ore)

Messaggi con destinatari multipli – Come ha scritto il giornale britannico online The Guardian sono numerosi gli esempi di “clan” che hanno usato WhatsApp come piattaforma per diffondere fake news, teorie cospirazioniste e attacchi politici. La forzatura della natura privata di WhatsApp è avvenuta con l’uso politico della funzione che consente di inviare messaggi a più destinatari invisibili l’uno dall’altro (come la riga “ccn” di posta elettronica). La possibilità di inoltrare messaggi da un gruppo a un altro – recentemente limitata in risposta alla disinformazione relativa a Covid-19 – rappresenta una potente arma informativa. Inizialmente i gruppi avevano dimensioni limitate a 100 persone, ma in seguito sono state aumentate a 256. Se 256 persone inoltrano un messaggio ad altre 256 persone vuole dire che lo riceveranno in 65.536. E quindi da privato il gruppo si trasforma in una macchina di propaganda perfetta.

Tassi di crescita a doppia cifra – È la natura binaria di WhatsAapp, minaccia politica e luogo di conforto psicologico e sociale. Una schizofrenia che lo rende unico nel suo genere e dall’evoluzione non prevedibile. Acquistata da Facebook nel 2014 per 19 miliardi di dollari, all’epoca ha portato a Mark Zuckerberg 450 milioni di utenti. Nel febbraio di quest’anno, ha raggiunto 2 miliardi di utenti in tutto il mondo. Con il lockdown i tassi di crescita sono stati a doppia cifra. I conti si faranno più avanti ma oltre a essere l’app di messaggistica più utilizzata nel mondo e la seconda app più utilizzata dopo Facebook stessa rischia di diventare nei prossimi mesi uno strumento di comunicazione politica strategico.

di Luca Tremolada (Il Sole 24 Ore,10 luglio 2020)