Diritto all’oblio non rispettato, chiesti a Google 7 milioni di euro

Il garante per la privacy svedese scaglia una multa da 7 milioni di euro per violazioni del Gdpr connesse al diritto all’oblio. Google non avrebbe accolto legittime richieste di deindicizzazione dal motore di ricerca.

Con il Gdpr non si scherza, e Google ne ha avuto l’ennesima dimostrazione: ovvero l’ennesima multa europea, questa volta richiesta dal garante della privacy svedese e legata al più ampio tema del diritto all’oblio. Il Datainspektionen aveva avviato due indagini su casi specifici, una nel 2017 e una nel 2018, giungendo alla conclusione che in entrambi i casi Google non si fosse comportata correttamente.

L’azienda, secondo il garante, non avrebbe garantito il diritto all’oblio degli interessati, provvedendo alla rimozione dei contenuti Web ormai non più aggiornati, corrispondenti al vero o rilevanti (queste le condizioni necessarie per far valere il right to be forgotten).

Nel frattempo è arrivato il Gdpr: il regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, entrato in vigore a maggio del 2018, ha avuto tra sue le conseguenze un incremento degli importi delle sanzioni per le aziende inadempienti. Ne sanno qualcosa British Airways e la catena alberghiera Marriott International, a cui il garante della privacy britannico ha chiesto rispettivamente 183,39 milioni di sterline e 99,2 milioni di sterline di multa.

Da Google ora il Datainspektionen pretende 75 milioni di corone svedesi, l’equivalente di circa 7 milioni di euro. L’azienda di Mountain View non ha eseguito quanto richiesto dal garante al termine della sua prima indagine, quella del 2017, evitando di deindicizzare le pagine sotto esame.

C’è poi un altro problema, a detta dell’autorità svedese: il delisting può diventare inefficace se, come previsto dalle regole di Google, i gestori dei siti Web che hanno pubblicato i contenuti deindicizzati vengono avvisati del fatto. Potrebbero, infatti, ripubblicare i medesimi contenuti su un altro indirizzo Web, che comparirebbe sul motore di ricerca. Il garante ha dunque chiesto all’azienda di modificare questa policy. Da Mountain View è però giunta tutt’altra assicurazione: Google rigetta la decisione e ricorrerà in appello.

 

Fonte: www.ictbusiness.it