Facebook, multa da 10 milioni di euro per uso dei dati degli utenti a fini commerciali

Multa dell’Antitrust a Facebook per 10 milioni di euro. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha chiuso l’istruttoria, avviata nel mese di aprile 2018, nei confronti di Facebook Ireland Ltd. e della sua controllante Facebook Inc. per presunte violazioni del Codice del Consumo, irrogando alle società due sanzioni per complessivi 10 milioni di euro.

L’Autorità ha accertato che Facebook, in violazione degli articoli 21 e 22 del Codice del Consumo, induce ingannevolmente gli utenti consumatori a registrarsi nella piattaforma Facebook, non informandoli adeguatamente e immediatamente, in fase di attivazione dell’account, dell’attività di raccolta, con intento commerciale, dei dati da loro forniti, e, più in generale, delle finalità remunerative che sottendono la fornitura del servizio di social network, enfatizzandone la sola gratuità; in tal modo, gli utenti consumatori hanno assunto una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso (registrazione al social network e permanenza nel medesimo).

Informazioni generiche e incomplete – Le informazioni fornite risultano, infatti, generiche e incomplete senza adeguatamente distinguere tra l’utilizzo dei dati necessario per la personalizzazione del servizio (con l’obiettivo di facilitare la socializzazione con altri utenti “consumatori”) e l’utilizzo dei dati per realizzare campagne pubblicitarie mirate.

Una pratica aggressiva – L’Autorità ha inoltre accertato che Facebook, in violazione degli articoli 24 e 25 del Codice del Consumo, attua una pratica aggressiva in quanto esercita un indebito condizionamento nei confronti dei consumatori registrati, i quali subiscono, senza espresso e preventivo consenso – quindi in modo inconsapevole e automatico- la trasmissione dei propri dati da Facebook a siti web/app di terzi, e viceversa, per finalità commerciali. L’indebito condizionamento deriva dall’applicazione di un meccanismo di preselezione del più ampio consenso alla condivisione di dati.
La decisione dell’utente di limitare il proprio consenso comporta, infatti, la prospettazione di rilevanti limitazioni alla fruibilità del social network e dei siti web/app di terzi; ciò condizionagli utenti a mantenere la scelta pre-impostata da Facebook.

Il meccanismo usato – Nello specifico, Facebook, attraverso la pre-selezione della funzione “Piattaforma attiva”, preimposta l’abilitazione ad accedere a siti web e app esterni con il proprio account Facebook, predisponendo la trasmissione dei dati dell’utente ai singoli siti web/app, in assenza di un consenso espresso da parte dello stesso. Facebook reitera, poi, il meccanismo della pre-selezione in opt out, rispetto ai dati che vengono condivisi, nella fase in cui l’utente accede con il proprio account Facebook a ciascun sito web/app di terzi, inclusi i giochi.

L’utente può, infatti, anche in questo caso, solo deselezionare la pre-impostazione sui dati operata da Facebook, senza poter attuare in ordine agli stessi una scelta attiva, libera e consapevole.

Obbligo di una dichiarazione rettificativa – In considerazione dei rilevanti effetti della pratica sui consumatori, l’Autorità ha altresì imposto, ai sensi dell’articolo 27, comma 8, del Codice del Consumo, l’obbligo di pubblicare una dichiarazione rettificativa sul sito internet e sull’App per informare i consumatori.

La replica di Facebook – «Stiamo esaminando la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – ha fatto sapere un portavoce di Facebook Italia – e speriamo di poter lavorare insieme per fare chiarezza in merito a quanto contestato. Quest’anno abbiamo reso più chiare le nostre Condizioni d’uso e le nostre normative, in modo da aiutare le persone a capire meglio come utilizziamo i dati e come funziona il nostro business. Abbiamo anche reso le nostre impostazioni sulla privacy più facili da trovare e utilizzare e lavoriamo costantemente per migliorarle. Le persone hanno il possesso e il controllo delle loro informazioni personali su Facebook».

 

Fonte: Il Sole 24 Ore